Rassegna Stampa

Sempre più medici aggrediti. Cosa succede?

Lo psichiatra Zanalda. “Ridare alla popolazione la fiducia nel sistema sanitario”. Bassetti: ” Il Covid ha solo freezato la situazione. La figura del medico è bistrattata

Il Metropolitano.it

Nel 2022, gli atti di violenza contro i medici e il personale sanitario negli ospedali italiani segnalati dalle Regioni e raccolti dal Ministero della Sanità sono aumentati dai 60 dell’anno precedente toccando quota 85.
Le realtà più colpite sono Puglia e Sicilia, con 20 casi a testa, ma il fenomeno riguarda ormai tutta Italia: dalla Toscana (8 casi) a Campania e Piemonte (7), dalla Lombardia (6) alla Calabria (5).
Lo conferma il recente caso di Adelaide Andriani, giovane specializzanda di Udine che ha rischiato di essere strangolata da un paziente in guardia medica.
I centri di medicina d’urgenza e i reparti di psichiatria sono i più colpiti.
Ma i sempre più casi che finiscono nelle cronache sono la punta dell”iceberg. Molte aggressioni non vengono infatti denunciate e altre, verbali ma non meno impattanti, restano nei ricordi di chi le ha subite.

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Un fenomeno non nuovo ma in crescita, che preoccupa i medici e ha indotto la politica a intervenire.
Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha disposto l’istituzione di presidi di polizia negli ospedali, a partire dai plessi di maggiore importanza.
Su un altro fronte, quello della salute mentale, il decreto Milleproroghe è intervenuto, per potenziare l’assistenza e promuovere la cultura in materia, sui temi del bonus psicologo e dell’istituzione di un servizio nazionale di psicologia scolastica.
“Il potenziamento del benessere psicologico come investimento nelle persone – ha commentato al riguardo il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi, David Lazzari – è una questione di civiltà e un investimento nel futuro del nostro Paese”.
Ma la radice di queste aggressioni è profonda e sono di diversa natura le cause che le hanno indotte.

Lo psichiatra forense: “Bisogna tornare a investire nella sanità pubblica”

“Il fenomeno non è nuovo – precisa Enrico Zanalda, presidente della Società Italiana di Psichiatria Forense -. Sin dagli anni ’90 si è assistito a un’aggressione sistematica della figura del medico. Per impedire che questo fenomeno potesse bloccare l’assistenza, la legge è intervenuta già due volte: prima con la legge Balduzzi e poi con quella Gelli/Bianco. Il problema però è che è stata negli anni distrutta la figura istituzionale del Medico“.

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Lo psichiatra forrense Enrico Zanalda

A contribuire, secondo Zanalda, sono stati diversi fattori: la sempre crescente pretesa, da parte delle persone, di ottenere quello che vogliono immediatamente, il rifiuto della morte e della sofferenza, il condizionamento del dr. Google ma soprattutto la sfiducia nel sistema sanitario.
“La malattia, specie se acuta, determina uno sconvolgimento emotivo oltre che nel malato anche nelle persone vicine a lui. Quando i pazienti giungono in Pronto Soccorso accompagnati dai parenti, il livello emotivo è molto elevato – spieg Zanalda – Aumenta ancora di più quando si tratta della salute dei figli o della donna in gravidanza. Basta una piccola incomprensione o un ritardo in una risposta organizzativa per determinare l’aggressione. Scatta così la rabbia delle persone, che non si sentono sufficientemente curate. O che pretendono farmaci al di fuori delle finalità terapeutiche, oppure di essere ricoverati perché in una condizione difficoltosa, senza considerare che, senza indicazioni cliniche, l’ospedale non può supplire a tutte le situazioni di difficoltà sociale”.

La legge non basta

A tutto questo si uniscono la situazione della sanità pubblica e le conseguenze della pandemia.
“Le situazioni contingenti, alla fine, incidono marginalmente. Il Covid, riducendo le presenze in sala d’attesa, nei pronto soccorso e nei reparti ha ridotto le occasioni di frizione. Poi, però, l’esasperazione legata alla situazione degli ultimi anni, l’aumento delle liste d’attesa, la maggior difficoltà di prendere appuntamenti ha reso le cose più difficili per tutti e ha aumentato l’animosità”.
Le difficoltà cui si trovano a far fronte i medici, però, portano ad allargare ulteriormente la prospettiva. Insomma, la legge non basta.
“Bisogna riprendere a investire nella sanità e sulla tecnologia– approfondisce il presidente Sipf –, permettere ai professionisti della salute di operare in condizioni ottimali sia come ambiente che come condizioni di lavoro. La salute è il bene principale di tutte le persone e bisogna che investiamo sul servizio sanitario in modo che torni a essere nuovamente attrattivo per le giovani leve”.

Bassetti: “Ridare rispetto alla figura del medico”

Un’analisi condivisa dal noto infettivologo del Policlinico San Martino di Genova Matteo Bassetti.
“Casi di aggressione diretta – premette – non me ne sono per fortuna mai capitati. Ma ho ben presente il problema e quel che c’è alla base. In primis, la perdita di rispetto per la figura del medico avvenuta in questi anni. Un fenomeno per contrastare il quale non ha certo aiutato l’atteggiamento degli avvocati nei confronti di medici e infermieri.In più non ci aiutano i vari Google e Facebook, che portano la gente ad arrivare in ospedale con una diagnosi già fatta in autonomia su internet”.

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Il direttore della clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova Matteo Bassetti

Tutto ciò, per Bassetti, “ha generato una situazione in cui le frustrazioni della gente, a volte giustificate, si scaricano sui medici anziché contro un sistema che ha tolto fondi alla sanità e portato a chiudere ospedali. La figura del medico già oggi è bistrattata – continua l’infettivologo – e andrà sempre peggio, fino al punto di non ritorno in cui il sistema sanitario morirà di morte naturale. Un giovane che si laurea in medicina, ormai, non guarda più al pubblico, ma al privato o addirittura fugge all’estero, sia per motivi economici che di qualità del lavoro. I medici italiani sono oggi i migliori, ma tra una decina d’anni il servizio sanitario nazionale si svuoterà per forza e resteranno solo i peggiori”.

Crepet: “Il discredito dei medici nasce dalla pandemia”

La lettura del fenomeno dello psichiatra e sociologo Paolo Crepet parte dall’analisi del particolare momento storico che abbiamo attraversato negli ultimi anni.
“Si può dire solo fino a un certo punto – premette – che c’è sempre stato il fenomeno della violenza dei pazienti nei confronti dei sanitari. Nei decenni passati, non è in effetti mancato qualcuno che nutrisse rancore verso medici e infermieri perché gli era successa una cosa particolare. Ma quanto sta accadendo è molto diverso e non bisogna commettere l’errore di sottovalutarlo”.

Crepet ritiene allora che sia “evidente da dove è nata e come si sia rafforzata questa reazione da parte di una piccola parte della popolazione contro una piccola parte del sistema sanitario”: “La pandemia e il tema della vaccinazione – afferma – hanno portato il discredito nei confronti di chi cura a un livello così altisonante. E la tendenza a non fidarci di chi ci cura è pericolosa, perché può portare per esempio ad affidarsi a strani siti”.

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La necessità di una cultura scientifica

“Da medico e figlio di medico – prosegue il ragionamento dello psichiatra – io credo nella medicina, senza che questo voglia dire che, come in tutti i settori, non ci possano essere anche degli sbagli. E se provo a chiedermi cosa c’è dietro a questi fenomeni mi rispondo che, nella nostra cultura prevalentemente umanistica manca la mentalità scientifica. È questo, secondo me, che porta a pensare che l’opinione di uno scienziato non sia da tenere da conto e, a cascata, a dover registrare i casi di pazienti che prendono a pugni i loro medici”.
Pur avendo vissuto personalmente qualche situazione di aggressività dei suoi pazienti (“ma li ritengo episodi diversi da quelli finiti nelle cronache, perché rientrano nel rischio professionale di uno psichiatra, che non può e non deve dare ragione a chiunque”), Paolo Crepet tenta anche di dare una soluzione. “Ci vuole più informazione e conoscenza, più rispetto e gentilezza. In caso contrario, si arriva ad avere paura dell’altro e allora è meglio tirare giù le serrande”.

Pezzullo: “La percezione del professionista sanitario è cambiata”

“In generale, il tema della violenza verso gli operatori sanitari c’è sempre stato ed è difficile quantificarlo, anche se posso confermare che c’è un aumento effettivo riscontrato degli episodi – commenta Luca Pezzullo, presidente dell’Ordine degli psicologi del Veneto -. A incidere – spiega – sono classicamente alcuni fattori. E il primo è la percezione dell’autorità del professionista sanitario, che è indubbiamente cambiata”.
E’ il pronto soccorso il luogo più a rischio. “Ai tempi del mio tirocinio – ricorda Pezzullo – sono passato anch’io, per un certo periodo, in un pronto soccorso: diciamo che è stata un’esperienza molto educativa a 360 gradi. Perché se per accedere a un reparto c’è tutta una filiera da rispettare, i pronto soccorso sono dei veri e propri porti di mare in cui arriva chiunque, compresi autori e vittime di reati. E la situazione di confusione e scarsa privacy aiuta a far scattare reazioni arcaiche di attacco e fuga, creando potenziali situazioni di reale pericolo”.

Luca Pezzullo, presidente dell'Ordine degli psicologi del Veneto


Il meccanismo di attivazione psico-fisiologica che, per esempio davanti a un ritardo nell’assistenza, può portare a episodi di violenza, sottolinea il presidente degli psicologi, è dunque ben noto. “Etologicamente, partendo dall’ansia derivante da una situazione sulla quale si ha poco controllo, gli animali sviluppano l’aggressività come punto finale di un percorso in cui si tenta di riprendere il controllo della situazione. Le maggiori pressioni, le più alte angosce e aspettative, le iperattivazioni emozionali estreme come quelle di un genitore che vede il figlio in pericolo, ma anche i maggiori vincoli come quelli legati al Covid e la complessità dei rapporti con la sfera sanitaria, in un contesto come un pronto soccorso può così produrre conseguenze disfunzionali”.

Soluzioni e problematiche aperte

Luca Pezzullo commenta dunque con favore il fatto che ci sia maggior sensibilità da parte delle istituzioni, che ha portato per esempio a riconoscere aggravanti specifiche nei confronti degli autori di queste aggressioni. Al tempo stesso, però, sottolinea come ci sia ancora moltissimo da fare. A partire dal “grave problema legato al fatto che in sanità le risorse umane sono ormai scarsissime, per i pochissimi investimenti sulle piante organiche professionali”.
“In questo modo – conclude – si innesca un circolo vizioso. Con pochi operatori infatti il clima organizzativo peggiora e, di conseguenza, sono sempre meno quelli che vogliono venire a lavorare, complicando ulteriormente la situazione di partenza. E l’aggravante è che non sempre si riesce a garantire la sicurezza a operatori sanitari esposti in un contesto di lavoro con potenziale di rischio senza poter contare su una rete di protezione che li tuteli”.

Alberto Minazzi